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Internet, libertà e diritti: a partire dal caso Wikileaks | Fuori le Mura





Internet, libertà e diritti: a partire dal caso Wikileaks

21 febbraio 2011

di Simone Arseni


Si è tenuto a Roma, il 18 febbraio 2011, nell’Aula Giallombardo del Palazzo di Giustizia (Corte Suprema di Cassazione), un incontro su un tema attuale e formativo: Internet, libertà e diritti: a partire dal caso Wikileaks.

Franco Ippolito, membro della Corte di Cassazione, ha presieduto il tavolo, introducendo alcuni degli argomenti che oggetto di discussione. A prendere la parola si sono succeduti nell’ordine Luigi Marini (Presidente di Magistratura Democratica), Arturo Di Corinto (giornalista e scrittore italiano), Stefano Rodotà (professore Emerito di diritto civile presso l’Università di Roma La Sapienza), Gaetano Azzariti (professore di diritto costituzionale presso l’Università di Roma La Sapienza), Elena Falletti (docente presso l’Università di Castellanza) e Giuseppe Salmé (membro della Corte di Cassazione).

L’incontro, organizzato dal gruppo Magistratura Democratica , ha l’obiettivo dichiarato di avviare un dibattito pubblico sul tema dei diritti e delle libertà civili, con particolare riguardo alle novità introdotte in questo campo dalle innovazioni tecnologiche e alle possibilità offerte dalla rete.

Il caso Wikileaks entra a far parte di questo discorso come modello rappresentativo di una concezione tipicamente illuminista dell’amministrazione della res publica: la pubblicità del potere ne è un suo requisito essenziale. Diceva Kant, che se una vicenda non può essere resa pubblica, significa che è di per sé ingiusta. Ippoliti, nel suo breve ma puntuale discorso introduttivo, ha invitato il pubblico a rileggere un famoso saggio di Norberto Bobbio,  titolato Il futuro della democrazia, edito nel 1984. In quello scritto, il grande filosofo e giurista italiano, ricordava che una delle grandi promesse non mantenute della democrazia è l’impegno di abbattere le vecchie aristocrazie e i vecchi poteri occulti. Non ha realizzato, insomma, quanto prescriveva: il “governo pubblico della cosa pubblica”.  “Dal punto di vista del principe”, ha detto Ippolito, “Wikileaks ha rappresentato e continuerà a rappresentare un pericolo che terrorizza: da un lato i governi magnificano la globalizzazione, dall’altro ne temono gli strumenti”. L’esito è un rilancio di una retorica leggittimatrice delle antiche teorie della ratio status. Dal punto di vista dei cittadini, invece, il modello di Wikileaks potrebbe rappresentare un’opportunità nuova per ampliare gli orizzonti di democraticità della politica e per rendere meno attuali le considerazioni di Bobbio sulle promesse mancate della democrazia.

È in base a questa dialettica che deve giocarsi il confronto tra poteri forti e società civile,  e non soltanto nei sistemi democratici.

Riprendendo una frase significativa dell’intervento del professor Di Corinto, possiamo dire che la rete, oggi, è la più grande agorà pubblica esistente”. Ha tutte le caratteristiche tipiche dell’agorà ateniese, che era luogo di confronto, ma anche di scontri e di polemiche.  Ai nostri tempi, la base degli scontri è costituita dalla molteplicità degli obiettivi che gli stati (o gli attori statali) attribuiscono all’utilizzo di internet. Il rischio è che, in nome di una “sempreverde”  ragion di stato, in nome di principi moderni e inviolabili come quello della privacy, i governi trovino gli strumenti adeguati per violare il principio di apertura totale della rete, controllando il flusso di informazioni e la libertà di espressione degli utenti.

Per quanto Stefano Rodotà dichiari nel suo intervento di avere “un’attitudine positiva nei confronti del fenomeno di Wikileaks, e di avervi “aderito persino acriticamente” è lui stesso che, dopo averne elogiato gli aspetti che potrebbero favorire una maggiore democratizzazione dei sistemi politici occidentali, ne evidenzia i punti critici. Tra questi, i più rilevanti sono tre:
–    la non sempre verificabile attendibilità delle informazioni;
–    i rischi reali per la sicurezza degli stati e delle persone;
–    i rischi di strumentalizzazione del flusso delle informazioni (“chi è giudice?”, si domanda Rodotà. “Finora lo è stato la deontologia professionale dei giornalisti, ma non può essere così per sempre”).
Rodotà propone dunque, a conclusione del suo intervento, l’approvazione di una legge costituzionale modificativo della prima parte della Costituzione, che preveda l’inserimento di un art. 21 bis e che inserisca fra i diritti fondamentali dell’individuo, il diritto di accesso alla rete.

Anche secondo il  costituzionalista Azzariti i rischi legati al modello Wikileaks sono da considerare con attenzione e tuttavia “non possono portare alla proibizione del fenomeno, ma devono condurre a una sua regolamentazione nel rispetto dei principi della libertà di espressione”. Concorda dunque con Rodotà sulla necessità di pensare a garanzie costituzionali che tuttavia non dovrebbero concretizzarsi, secondo il professore, in un nuovo articolo della Costituzione, bensì nell’elaborazione di un comma aggiuntivo all’art. 21 già esistente.

Wikileaks è assurto a emblema della violabilità degli States secrets e non mancano esempi pratici, numerosi nell’ intervento della professoressa Falletti e del giudice Salmè. Alcuni documenti pubblicati da Wikileaks, infatti, potrebbero essere utilizzati nella risoluzione di procedimenti giudiziari già avviati. Gli esempi più conosciuti, ma non certo gli unici, sono quelli della pubblicazione di documenti rilevanti sulle carceri di Guantanamo e Abu Ghraib.

Su un fatto certamente si concorda: Wikileaks non è stata una semplice fuga di notizie riservate, ma può considerarsi un modello di ridefinizione dei rapporti tra potere politico e opinione pubblica: le prerogative dei poteri continuano ad essere nascoste, come ai tempi degli arcana imperii di medievale memoria, ma non sono più inviolabili.

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