Search
Thursday 25 April 2024
  • :
  • :

Cosa si nasconde dietro “l’affaire Saviano”? | Fuori le Mura

Cosa si nasconde dietro “l’affaire Saviano”?

21 giugno 2010

di Simone Arseni


saviano“La mafia italiana è la più conosciuta perché c’è stato un supporto promozionale a questa organizzazione criminale che l’ha portata ad essere un elemento molto negativo di giudizio per il nostro paese”. “Io se trovo quelli […] che scrivono libri sulla mafia che vanno in giro in tutto il mondo a farci fare così bella figura, giuro che li strozzo”.
Queste dichiarazioni del premier, unite alle ultime esternazioni di Emilio Fede su Saviano,  hanno riattizzato una polemica che ormai sembra aver preso le forme di un referendum abrogativo: “Saviano, sì o no?”. Il suggerimento contenuto nelle critiche del Presidente del Consiglio e del giornalista del Tg4 sarebbe quello di non parlare troppo di mafia, in modo da non fornirgli un “supporto promozionale” e da non trasmettere una cattiva immagine del nostro paese all’estero. Eppure credo che sottacere il problema  sbandierando solo i buoni risultati ottenuti, sia pura demagogia,  un’opera di cosmesi che non tarderà a scadere in contraffazione, un amor della patria apparente, un patriottismo pubblicitario tutto teso a nascondere la parte marcia della mela, la suola sporca dello stivale, per meglio  venderlo  alla prima fiera.
Chi avrebbe mai accusato Primo Levi per aver denunciato gli orrori della prigionia nazista? Chi avrebbe avuto il coraggio di disprezzare la Politkovskaja per  le sue indagini sugli orrori in Cecenia?
È vero, Saviano non è un eroe, non ha scoperto lui la mafia e non riuscirà a sradicarla con il suo solo impegno. Eppure ha portato nuovamente allo scoperto l’ azione delle cosche, il loro affarismo, il loro nuovo metodo organizzativo. Ed è significativo che un ragazzo appena trentenne, votato allo studio  e alla denuncia della malavita campana,  riesca a conquistare così rapidamente l’opinione pubblica. Saviano dà la misura di come gli italiani abbiano sete di verità condivise, quelle verità che il teatro della politica non è in grado di svelare. Saviano dà la misura di come gli italiani vogliano capire su cosa poggia questo stivale. La politica del silenzio non aiuta a creare la corrente necessaria a smuovere  le acque.

Il governo sino ad ora ha diffuso dati rassicuranti riguardo alla lotta anti-mafia, giungendo sino a poter vantare un “modello Caserta”  (città dove gli arresti e gli espropri di beni  sono stati più consistenti). Va dato atto al governo (e al ministro Maroni in particolare) di un  impegno su questo fronte.
Eppure bisogna precisare che la magistratura e i corpi di polizia e carabinieri si muovono con ampia autonomia  rispetto ai governi. La loro azione repressiva , questo sì, beneficia della  legittimità e degli strumenti  fornitigli dall’apparato istituzionale. E mi sembra proprio questo il tasto dolente dell’azione  di governo:  sul piano meramente legislativo si stanno discutendo alcuni provvedimenti  di legge che hanno suscitato perplessità presso alcuni osservatori.

Mi riferisco alla parte della circolare applicativa sullo scudo fiscale, diffusa dall’Agenzia delle entrate il 10 ottobre, che sospende l’obbligo in capo alle banche di segnalare operazioni sospette di riciclaggio per i reati sanabili, vale a dire reati fiscali e societari. Questo obbligo è da sempre un importante strumento di indagine per le procura antimafia. Da ottobre è venuto meno.

È inoltre in discussione alle camere il disegno di legge n. 1415 che reca “norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. Modifica della disciplina in materia di astensione del giudice e degli atti di indagine. Integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche”. Comunemente detta “legge sulle intercettazioni”, essa restringe  i margini dell’azione investigativa dei magistrati e delle procure, pur ammettendo la possibilità di utilizzare lo strumento delle intercettazioni  per i crimini di mafia, tratta di persone o schiavi e sequestro di persona.
Non è stata minimamente toccato, per di più, il meccanismo del “giudizio abbreviato” nel corso dell’udienza preliminare . Tale espediente dà la possibilità, a qualsiasi imputato sottoposto a processo (anche per crimini mafiosi) di godere di alcuni vantaggi a fronte della rinuncia al contraddittorio. In particolare: la diminuzione di un terzo della pena (ciò è valido anche per la pena dell’ergastolo, sostituita dalla reclusione di anni trenta), la mancata pubblicità del dibattimento e l’impossibilità di proporre appello contro sentenza (se l’imputato è prosciolto l’accusa non può ricorrere). La possibilità di avvalersi di questo istituto anche per reati di mafia avvantaggia enormemente i mafiosi.
Altrettanto pericolosa è l’ipotesi ventilata dal disegno di legge recante “Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell’articolo 111 della Costituzione e dell’articolo 6 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo”:  tale misura è volta a oliare il nostro farraginoso sistema di giustizia stabilendo limiti temporali (2 anni per ciascuno dei primi 2 gradi di merito, altri 2 anni per l’esame di legittimità, più un altro anno in ogni caso di giudizio di rinvio) oltre i quali lo Stato è tenuto a risarcire l’imputato e violati i quali si verifica l’estinzione del processo (art.2) .
Inutile sarebbe, infine, la vendita  all’asta dei beni confiscati: tornerebbero uno dopo l’altro, attraverso prestanome, al loro “legittimo” (mi si consentano le virgolette) proprietario.
Almeno tre sono i volti dell’antimafia: quello propriamente investigativo, quello legislativo e quello divulgativo o, se vogliamo, di sensibilizzazione al problema. Per incidere davvero nella lotta contro il crimine organizzato, questi tre volti devono specchiarsi l’uno nell’altro, aiutarsi e legittimarsi. Per questo motivo dovrebbero preoccupare, al di là di ogni appartenenza politica, le campagne feroci contro il “partito dei magistrati” e le pesanti dichiarazioni contro il lavoro di denuncia svolto da menti libere come Saviano. Non trovo onesto silenziare l’esistenza del problema e propagandare i risultati ottenuti nella sua lotta.
Un ultimo cenno a quei politici che pretendono di combattere la mafia a suon di urla, attraverso il ricorso a motteggi propagandistici e richiami alla piazza; a coloro, infine, che sventolano il drappo del giustizialismo dal caldo di studi televisivi e aule parlamentari. Lo sventolio, se non sarà accompagnato da provvedimenti seri e coordinati, risulterà in tutto simile ad una resa con bandiera bianca. È facile proporsi paladini di verità e giustizia per andare incontro alle esigenze di una parte dell’elettorato. È questo un monito già proposto dall’intellettuale Leonardo Sciascia, quando in un articolo scritto per il Corriere della Sera nel gennaio del 1987 accusò Orlando e Borsellino (presi ad esempio di un fenomeno molto più diffuso ) di essere “professionisti dell’antimafia”, ossia  personaggi che sfruttarono la lotta alla criminalità organizzata per fare carriera. In due incontri successivi Sciascia si scusò di fronte a Borsellino affermando che l’articolo era stato travisato e che non intendeva riferirsi a lui come a un arrivista spregiudicato.  Ma la denuncia del problema  restava valida. Borsellino così replicò anni dopo in un’intervista su  “L’Unità”: “a mio parere, Sciascia era molto preoccupato da un fenomeno che in quel momento si era verificato. L’antimafia era qualcosa che politicamente rendeva, e conseguentemente, accanto a coloro che cavalcavano quella tigre perchè ci credevano c’erano anche molte persone che la cavalcavano per tornaconto individuale. Lui intese indicare questo fenomeno all’opinione pubblica come esecrabile. Il suo intervento ebbe quantomeno il merito di stroncare molte carriere di politici che stavano salendo su quel carro con troppa disinvoltura”.
Credo fermamente che Saviano sia da ascrivere fra coloro che cavalcano la tigre perché ci credono profondamente. Per questo  la sua persona e il suo lavoro dovrebbero godere del rispetto di noi tutti.