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Architettura sostenibile, polis moderna tra centro e periferia | Fuori le Mura

Architettura sostenibile, polis moderna tra centro e periferia

7 giugno 2010

di Francesco Anzelmo


foto_francesco anzelmo

Nell’VIII sec. A.C. si struttura nell’antica Grecia la Polis, nucleo urbano che getterà le linee guida dell’occidente rispetto al modo di pensare la città, lo stato, l’appartenenza ad una comunità. Gli Oi Barbaroi, gli stranieri, per questo non facenti parte della polis, erano ben identificati, la “città-stato” il cui limen era fortemente segnato culturalmente e fisicamente, vigeva come nucleo compatto. Ai nostri giorni la città si espande, rendendosi una realtà in itinere, la più stabile eppure la più dinamica delle creazioni dell’uomo, oggi la città è crocevia che si espande, babele variopinta ed è così dal mondo più borghesemente industrializzato al terzo mondo che cerca redenzione in questa ingiusta classifica dei mondi.

foto_francesco anzelmo

La città oggi vive una positivissima, ma mal gestita, ipertrofia (inter-)culturale, a cui corrisponde una spropositata crescita dei suoi limiti, sempre più melliflui e indefiniti. Confini che riguardano tanto il centro della “polis moderna” con la sua periferia, tanto con il suo esterno. Proprio perché la peculiarità della città odierna è proprio questo strano e dibattutissimo concetto di “periferia”, che in qualche modo include ed esclude, a secondo di come venga intesa.

Sull’argomento, lo scorso Aprile, si è tenuto a Roma un grande workshop (“Nuovi modelli di trasformazione urbana”) a cui hanno partecipato le “archistar” radunate per l’occasione alla corte del primo cittadino romano. Da Renzo Piano a Calatrava, da Meier a Fuksas, da Calthorpe a Krier, hanno analizzato la possibilità di integrazione tra centro e periferia (spesso distaccate molto nettamente) un dialogo possibile e necessario. Questo significa creare una via differente nel modo di pensare la struttura della città. L’architettura contemporanea non può esimersi da una riflessione che includa una sostenibilità intesa olisticamente, che guardi tanto all’aspetto ecologico (gestione integrata alla crescita della città di energie rinnovabili) che a quello antropologico e non meno importante a quello estetico.

Tornando al nostro incipit, oggi grandi metropoli come Roma, Parigi, Londra, paradigmi moderni della splendente Atene, pur in modo diverso, vivono ormai da decenni una rivoluzione profonda che mette in gioco lo stesso concetto di città come luogo chiuso e autarchico, tanto morfologicamente quanto e soprattutto antropologicamente e culturalmente. Per questo la nuova architettura, l’arte che più di tutte dev’essere eclettica, ormai ha preso a indirizzarsi verso un nuovo concetto di urbe che sappia accogliere il cambiamento e il diverso da se, questa spinta passa o dovrebbe passare da una rivalutazione di quelle arie dismesse che hanno potenziali inespressi, nuclei decentrati che pulsano di energia umana spesso sottovalutata e trascurata. Un’architettura sostenibile è possibile anzi, esiste già nelle menti di architetti illuminati che puntano sulla crescita di una città organicamente intesa. Questo concetto molto contemporaneo, in fin dei conti ha legami classici con il modo di intendere “il bello e il buono”, per riprendere le parole di Renzo Piano:foto_francesco anzelmo

“bisognerebbe come nell’antica Grecia, che il concetto di buono e bello legate alla polis, fosse inscindibile, così che la città, con i suoi centri e le sue periferie, massima espressione umana, non fosse solo luogo anti-ecologico ma una costola ben integrata della stessa natura”.

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