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Wednesday 24 April 2024
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Morrison Hotel | Fuori le Mura



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Ti dirò che nessuna eterna clemenza potrà perdonarci ora per avere gettato l’alba.

Un maledetto, un drogato, un visionario, un poeta, un folle, un genio, un fenomeno di commercio: probabilmente Jim Morrison ha rappresentato tutte queste cose durante la sua breve comparsa sulla terra. Proprio come le scaglie del serpente che cantava in quel capolavoro che è The End. Per questo è difficile mettere in scena uno spettacolo che sappia rendere giustizia a tutte le sfaccettature di uno dei personaggi più complessi del secolo passato. Il rischio è di fornirne una visione superficiale.

Ci hanno provato quattro ragazzi a vivificare il ricordo di quel lampo improvviso che sono stati i Doors nel panorama del rock. I loro nomi? Pierpaolo de Mejo (regista, attore, autore e voce di alcune canzoni), Valerio Cosmai (autore, voce e chitarra), Dodo Versino (tastiere) Tiziano de Sante (batteria). In una cornice piccola, come il Teatro Lo Spazio, forse anche un po’ disorganizzata: ma con la giusta atmosfera per uno spettacolo del genere, ben lontana dal barocco di alcune sale dove cariatidi dello spettacolo e della buona borghesia romana, fanno sfoggio di sé in prima fila. Questo tipo di spazi, solitamente, uniti a qualche giovane sulla scena danno vita a qualcosa che si chiama passione.

Una notte mentre andavo al molo mi imbattei in due ragazzine: la bionda si chiamava Libertà, la mora Avventura.

De Mejo è un Morrison perfetto, i suoi monologhi sulla vita della rockstar son ben curati e integrano citazioni dalle poesie e dalle canzoni scritte dal poliedrico artista californiano ad affermazioni del tutto plausibili. La recitazione è spezzata di continuo dal gruppo – alle spalle dell’attore – che suona il repertorio dei Doors: una cover band di tutto rispetto, che riesce a trascinare lo spettatore all’interno di atmosfere ormai passate. Unica nota dolente è la voce di Valerio Cosmai, che non si avvicina nemmeno alla carica espressiva di quella di Jim Morrison, cosa che tra l’altro è piuttosto scontata. Insomma, si sta parlando di una voce davvero inimitabile per calore e profondità. Meglio – mi si scusi il gioco di parole – de Mejo alle prese con il canto, che ci regala un’ottima interpretazione di Five to one, sicuramente più vicina alle tonalità del cantante originale.

Lo spettacolo offre una visione a frammenti dell’ascesa e del declino della rockstar americana, tramite i monologhi recitati dall’attore sulla scena. Si passa dai sogni iniziali alla follia finale: in mezzo ci sono droga, successo, eccessi e tanta poesia. Sullo sfondo la band che spesso non ha compreso le esigenze dello stesso Morrison. La poetica che si muove sotto le parole dell’artista, come è noto, è quella della “Lettera del veggente” di Arthur Rimbaud:

Dico che bisogna essere veggente, farsi veggente.
Il Poeta si fa veggente mediante un lungo, immenso e ragionato  sregolamento di tutti i sensi(…)nella quale diventa fra tutti il gran malato, il gran criminale, il gran maledetto, – e il sommo Sapiente!  Poiché giunge all’ignoto!

Alla luce di queste parole forse si potrà capire meglio tanto il percorso dei Doors, tanto lo spettacolo messo in scena da questi quattro ragazzi talentuosi. Perché è solo così che il poeta si fa ladro di fuoco. E Jim Morrison probabilmente lo è stato: consacrando tutta la sua vita alla poesia.