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Wednesday 24 April 2024
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A lezione di fotografia da Salvatore Favia | Fuori le Mura



n1619877433_118662_7321Drammatica, cupa, intensa, sincera, la fotografia di Salvatore Favia, un giovane (classe 1977) di talento della provincia foggiana (si divide fra Manfredonia e Mattinata), è tutta da scoprire e apprezzare. Nella sua carriera ormai decennale, Favia si è confrontato con il ritratto, lo still life e il paesaggio naturalistico. Ha vinto diversi premi e partecipato a diverse mostre e concorsi nazionali ed internazionali, tra cui quello prestigiosissimo di Dubai. Il suo sguardo è unico nel suo genere, pur facendo riferimento a differenti stili non si limita a “copiare”, ma compie sperimentazioni intriganti di un’arte che, nei suoi oltre centocinquanta anni di vita, ha già ben dato prova di essere la miglior forma di realismo e la rappresentazione per eccellenza del Novecento. E ora nel nuovo millennio come si fa ad essere originali e lasciare un segno? Questa è una domanda che Salvatore Favia si è posto lungamente e a cui ha cercato di dare una risposta ben precisa. Le sperimentazioni del giovane hanno un che di classico e rivoluzionario al tempo stesso. Per lui, la fotografia, prima di essere un mestiere, è un’esperienza totalizzante di cui nutrirsi e da cui imparare.
I suoi volti, i suoi luoghi hanno una componente sofferta e vissuta, una verità che non si raggiunge se non attraverso l’esperienza data dalla maturità interiore. La metamorfosi della natura nel suo lavoro acquisisce una valenza e una forma astratta, cosicché l’occhio personale dello spettatore trova la sua personale interpretazione.
Passare un pomeriggio con lui a fare una chiacchierata è un’esperienza totalizzante. Mentre mi dirigo all’appuntamento datoci per il nostro incontro, lo scorgo già lì ad attendermi con la sua preziosa compagna, una Reflex, intento a cogliere un istante prezioso da immortalare per sempre. Favia ci parla del suo mestiere con la genuinità e con l’entusiasmo che si addice a chi fa della propria arte un modo per raccontare e arricchire la propria vita e quella degli altri in un flusso continuo e inaspettato, che abbraccia altre forme culturali che si completano fra loro, non solo con la fotografia, ma con altre discipline che vi sono strettamente collegate, come il cinema e la musica. Appassionato di Tim Burton (che per deontologia professionale contestualizza sempre in rapporto al lavoro fatto dal suo direttore della fotografia) e del bianco e nero nei film di guerra classici, passa da un argomento all’altro e spiega e racconta tutto della sua professione. Sulla fotografia ha delle idee ben precise: la composizione, il risultato conta ma,  prima di questo, è importante trarre ispirazione dal ricordo di quel momento, dall’esperienza e dalla gioia che quell’istante ha lasciato in dono. Paradossalmente, l’occhio che si posa su di un’immagine non è componente  di esteriorità bensì della sua interiorità.

Erminio Fischetti: Che tipo di fotografo è Salvatore Favia?
Salvatore Favia: Non ho ancora definito il mio stile personale. Principalmente sono un ritrattista, ma a me piace fare e provare tutto: still life, paesaggi, ecc. Non mi tiro dietro a niente. Ritratti di persone, “impronte” delle persone. Se lei nota, oggi non esiste un fotografo della nostra generazione che abbia lasciato un segno. Tutti pensano di poter fare la fotografia perfetta, fare delle cose eccezionali, però, nessuno ha ancora lasciato un segno. Forse perché il digitale oggi ha “massacrato” tutto e forse perché oggi fare i fotografi è semplicissimo; è difficile, invece, trovare qualcosa di veramente interessante. Mi piace fare ritratti perché voglio cogliere quell’attimo, quel segno tangibile che quelle persone, viste e incontrate in un momento determinato, hanno lasciato nella mia vita. Ed è un peccato lasciarselo sfuggire. Fotografare tutte quelle persone con cui ho avuto contatto, che hanno fatto parte della mia vita in tanti modi differenti, anche se per un solo istante. Questa è una mia filosofia della fotografia, che mi ha portato, in seguito ad esperienze forti e dolorose della mia vita, ad accrescere la mia sensibilità nei confronti dell’animo delle persone. Se non si hanno delle esperienze non si potranno mai raggiungere certi livelli. 12837_1217124641149_1619877433_565867_5554537_n

E.F.: Quali sono i grandi fotografi da cui lei trae ispirazione?
S.F.: I grandi fotografi a cui mi rifaccio, si fa per dire, sono Richard Avedon, Helmut Newton e Jean-Loup Sieff. Sto cercando di unirli per cercare la mia strada. La mia fotografia è fatta di contrasti forti, colori vivi e alla fine cerco sempre di creare una novità, di fare un passo avanti rispetto a quello straordinario lavoro fatto negli anni Cinquanta, Sessanta e Ottanta.


E.F.: Le sue fotografie sembrano possedere una modernità antica che si confronta con la natura …
S.F.: Personalmente odio fare la classica fotografia patinata, come quella delle cartoline dei paesaggi. Il paesaggio, la natura devono sempre essere contestualizzate intorno alla loro realtà. Io, in genere, esco quando piove, lo trovo più interessante, più vero. Ogni anno mi pongo un obiettivo: ora sto pensando di creare un “contest” in aperta campagna in una masseria e quindi sviluppare intorno ad essa gigantografie di auto distrutte, oggetti abbandonati, che vediamo ogni giorno nelle nostre campagne e sono diventati dei veri e propri “paesaggi”. Voglio creare un “contest” di questi materiali attraverso queste fotografie. Inoltre mi piacerebbe associare le mie fotografie con la musica di alcuni gruppi musicali emergenti.

E.F.: Nel Sud d’Italia e in particolare nel Gargano qual è la realtà della fotografia e dei suoi artisti più giovani?
S.F.: Beh, ci sono i cosiddetti massoni della fotografia che non ti permettono di uscire. Il Gargano ha un paesaggio stupendo, ma culturalmente parlando siamo sempre al solito discorso: devi associarti a qualcuno che già sta nel circuito, di conseguenza si dovrebbero sempre seguire le orme di qualcun altro. Quindi una persona come me che ha voglia di uscire, che vuole fare qualcosa resta “bloccato”. Poi, se si fa una scorsa dell’età, si nota che tutte queste persone hanno dai 60 anni in su, senza nulla togliere alla bravura e alla saggezza della loro esperienza lavorativa credo che un artista, una persona che fa arte può anche avere dieci o dodici anni e darti un prodotto di qualità. Di conseguenza il Gargano subisce le influenze di queste persone.

E.F.: Boudelaire diceva che la fotografia è soltanto “un’invenzione dovuta alla mediocrità degli artisti moderni e il rifugio di tutti i pittori mancati”. Oggi sappiamo che non è così …
S.F.: La pittura e la fotografia sono due cose molto diverse, ma viaggiano in maniera parallela per certi aspetti. Entrambe cercano di raggiungere qualcosa del proprio io. Soltanto che, con la fotografia, noi  riusciamo a dare una risposta in un attimo della vita quotidiana, mentre loro creano delle composizioni nel loro modo di vedere le cose. Al contrario, la fotografia invece non è così, ci riferiamo ovviamente alla fotografia da reportage, quotidiana, quella non l’ho cercata, non l’ho messa insieme, ma è una cosa che ho trovato in quel momento. È un’arte dell’immediato. Non è una cosa che ho studiato, che ho messo insieme. Certo poi ci sono scuole di pensiero diverse, opinioni diverse e 12837_1214412293342_1619877433_559312_3232998_nanche io studio angolazioni e prospettive quando voglio ottenere risultati specifici.

E.F.: Lei studia molto l’oggetto fotografato quando non fa fotografia da reportage. Come si comporta, in particolare, con il ritratto?
S.F.: Bèh, dipende. Se voglio fotografare un oggetto o una persona in particolare studio la luce, penso alla luce che voglio usare e che mi sembra più adatta. Ad esempio, se voglio fotografare una persona particolarmente anziana e voglio metterne in risalto le rughe o altri particolari studio il metodo che secondo me sembra più adatto per ottenere il risultato desiderato. In genere, la fotografia immediata è un qualcosa che tengo per me, mentre se devo preparare un progetto analizzo e faccio degli studi tecnici prima di iniziare a fotografare, con lo scopo di portare un mio pensiero specifico. Luci, posizioni, ombre sono fondamentali.

E.F.: Che differenza c’è per lei fra il bianco e nero e il colore?
S.F.: Tanta. Tutte e due difficili. Io amo il bianco e nero. Esso permette di avere forti contrasti.

E.F.: Approccio mentale fra le due?
S.F.: Differente. Quando si fa il bianco e nero si pensa in bianco e nero.

E.F.: Come è stato il passaggio dalla vecchia macchinetta fotografica al digitale?
S.F.: In realtà io ho fatto il contrario. Infatti, ho comprato una Rolleiflex, una macchina bi-ottica, per capire come lavoravano gli artisti di un tempo. La mia macchina è infatti del 1969, poi ho comprato anche una Polaroid. 16145_1200491945342_1619877433_528441_7385057_n

E.F.: Mi parli della tecnica utilizzata nel progetto The Lost?
S.F.: Sono fotografie sottoesposte con il flash per mettere in evidenza il soggetto- sennò sarebbero state tutte scure- che hanno lasciato spazio a questa disperazione.

E.F.: Qual è lo scopo che vuole raggiungere con il suo lavoro?
S.F.: Quando una persona ci mette un secondo di più a guardare il tuo lavoro, rimane fermo a osservare ciò che hai fatto, ho già raggiunto il mio scopo principale: aver creato attenzione in quella persona, ho creato curiosità.

E.F.: La fotografia cos’è per lei?
S.F.: Che cos’è per me la fotografia? Un qualcosa che mi deve lasciare un segno. Una cosa per me, sono un po’ egoista in questo, però alla fine se la persona che ha visto una tua fotografia, tramite essa capisce tutto questo, ho già ottenuto un grandissimo risultato. Inoltre, è rendere immortale un qualcuno. Non c’è bisogno di stravolgere la realtà. È l’istante che io colgo, non la modifica di quell’istante che mi fa portare ad un altro risultato. Perché se io cambio e modifico la foto non avrò più quella realtà che ho colto. La vera fotografia è la semplicità, forse sto diventando ripetitivo. I più grandi fotografi usano il bianco e nero perché i colori sono un di più e distolgono 12837_1226081145056_1619877433_586150_6581358_nl’attenzione dall’oggetto. Il bianco e nero ti dà la sensazione del ricordo che deve trasmettere una fotografia, è magico. Per concludere, chi fa fotografia deve sentirla. Tutti possono scattare, ma sentire la fotografia è un’altra cosa.

E.F.: Quando si diventa un vero fotografo?
S.F. (ride): Una volta, un fotografo di Manfredonia mi ha detto che il vero fotografo se non si alza  almeno una volta alle sei del mattino per fotografare un’alba non è un fotografo!

Contatti Salvatore Favia

Email: [email protected]

Salvatore Favia / facebook

Si ringrazia Salvatore Favia per la disponibilità e la concessione dell’apparato fotografico di questo articolo.